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Immagine del redattoreDonatella Bollani

Smart working: si deve decidere che forma dare al lavoro flessibile

Focus sui dati presentati da qualche giorno dall’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano. Le grandi aziende fanno da driver al passaggio verso lo smart working, i lavoratori da remoto nel 2022 sono circa 3,6 milioni, quasi 500 mila in meno rispetto al 2021, con un calo in particolare nella Pubblica Amministrazione e nelle PMI, mentre si rileva una leggera ma costante crescita nelle grandi imprese che, con 1,84 milioni di lavoratori, contano circa metà degli smart worker complessivi.

Dalla ricerca emerge la conferma degli importanti risparmi, di trasporto ed energetici, per lavoratori e imprese, dato che in questo contesto economico rende irreversibile la scelta per le aziende che stanno accompagnando il lavoro agile anche ad una nuova organizzazione aziendale e ad un ripensamento degli spazi. In apertura di puntata, con Federico Barbero, founding partner della società di progettazione integrata @WIPArchitetti. Parliamo di nuovi rituali del lavoro, di come si progettino i modi di vivere lo spazio e le nuove funzioni, che hanno sempre più a che fare con la cura delle persone e con il nuovo sistema di tutele.




Intervista


In questa puntata l’ospite è Federico Barbero, founding partner della società di progettazione integrata WIP Architetti. Abbiamo parlato di come oggi si progettino i nuovi rituali del lavoro, i modi di stare negli spazi prima che gli spazi stessi. Includendo delle funzioni sino a qualche tempo fa impensabili e che molto hanno a che fare con la cura delle persone e con il nuovo sistema di tutele.


Dati


In questo podcast focus sui dati presentati da qualche giorno dall’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano.


Nel 2022 in Italia il lavoro da remoto continua a essere utilizzato in modo consistente, sebbene in misura minore rispetto allo scorso anno. I lavoratori da remoto oggi sono circa 3,6 milioni, quasi 500 mila in meno rispetto al 2021, con un calo in particolare nella PA e nelle PMI, mentre si rileva una leggera ma costante crescita nelle grandi imprese che, con 1,84 milioni di lavoratori, contano circa metà degli smart worker complessivi. Per il prossimo anno si prevede un lieve aumento fino a 3,63 milioni, grazie al consolidamento dei modelli di Smart Working nelle grandi imprese e a un’ipotesi di incremento nel settore pubblico.


Lo Smart Working è ormai presente nel 91% delle grandi imprese italiane (era l’81% nel 2021), mediamente con 9,5 giorni di lavoro da remoto al mese e progetti che quasi sempre agiscono su tutte le leve che caratterizzano questo modello. Una tendenza opposta si riscontra nelle PMI, in cui lo Smart Working è passato dal 53% al 48% delle realtà, in media per circa 4,5 giorni al mese. A frenare in queste realtà è la cultura organizzativa che privilegia il controllo della presenza e percepisce lo Smart Working come una soluzione di emergenza. Rallenta anche la diffusione nella PA, che passa dal 67% al 57% degli Enti, con in media 8 giorni di lavoro da remoto al mese. In questo caso a pesare sono soprattutto le disposizioni del precedente Governo che hanno spinto a riportare in presenza la prestazione di lavoro, ma per il futuro si prevede un nuovo aumento.


L’impatto dello Smart Working è sempre più positivo per effetto dell’aumento dei costi energetici: un lavoratore che operi due giorni a settimana da remoto risparmia in media circa 1.000 euro all’anno per effetto della diminuzione dei costi di trasporto. Nella stessa ipotesi di due giorni alla settimana di lavoro da remoto l’aumento dei costi dei consumi domestici di luce e gas può incidere però per 400 euro l’anno riducendo il risparmio complessivo a una media di 600 euro l’anno. Lo Smart Working consente una riduzione dei costi potenzialmente più significativa per le aziende: consentire ai dipendenti di svolgere le proprie attività lavorative fuori della sede per 2 giorni a settimana permette di ottimizzare l’utilizzo degli spazi isolando aree inutilizzate e riducendo i consumi, con un risparmio potenziale di circa 500 euro l’anno per ciascuna postazione. Se a questo si associa la decisione di ridurre gli spazi della sede del 30%, il risparmio può aumentare fino a 2.500 euro l’anno a lavoratore.


L’applicazione dello Smart Working permette anche di ottenere benefici a livello ambientale riducendo le emissioni di CO2 di circa 450 Kg annui per persona. Questo è il risultato di tre componenti su base annua: la riduzione degli spostamenti, che permette il risparmio di 350 Kg di CO2, le emissioni risparmiate nelle sedi delle organizzazioni che hanno introdotto lo Smart Working (pari a circa 400 Kg di CO2) al netto delle emissioni addizionali dovute al lavoro dalla propria abitazione (in media circa 300 Kg di CO2). Considerando il numero degli smart worker attuali pari a 3.570.000 di lavoratori, l’impatto a livello di sistema Paese calcolate sarebbe pari a 1.500.000 Ton annue di CO2. Tale quantità è pari a quella assorbita da una superficie boschiva di estensione pari a circa 8 volte quella del comune di Milano.


I nuovi spazi di lavoro

L’esperienza forzata del lavoro lontano dall’ufficio e la volontà di favorire il rientro, anche se parziale, delle persone nelle sedi ha accresciuto nelle organizzazioni la consapevolezza di dover realizzare azioni sugli spazi di lavoro per creare ambienti che motivino e diano un senso al lavoro in ufficio, supportando in modo efficace le attività che più si prestano a essere svolte in questo contesto. Il 52% delle grandi imprese, il 30 % delle PMI e il 25% della PA ha già effettuato degli interventi di modifica degli ambienti o lo sta facendo in questi mesi. In prospettiva futura queste iniziative sono previste o in fase di valutazione nel 26% delle grandi imprese, nel 21% delle PA e nel 14% delle PMI.


Il ripensamento degli spazi che sappia tener conto del diverso modo di lavorare delle persone rispetto al pre-pandemia è fondamentale per favorire il rientro in ufficio che, nel 68% delle grandi imprese e nel 45% delle PA, ha incontrato resistenze da parte delle persone. L’evoluzione futura dei modelli di Smart Working prevede sostanzialmente lo stesso numero di giorni da remoto di quelli attuali. Ma si prevedono nuovi modelli di workplace con “spazi identitari” e finalizzati a favorire la collaborazione e l’interazione con colleghi e stakeholder prima ancora che il lavoro individuale, oltre che da una maggiore diffusione e capillarità di sedi sul territorio anche con l’utilizzo di ambienti terzi come business center e spazi di coworking.


Gli effetti su engagement e benessere

In base alla modalità di lavoro adottata, è possibile identificare tre profili di lavoratori: on-site worker, che lavorano stabilmente presso la sede di lavoro, lavoratori remote non smart, che hanno la possibilità di lavorare da remoto ma non altre forme di flessibilità, e smart worker, che hanno flessibilità sia di luogo sia oraria e lavorano secondo una logica orientata agli obiettivi. Analizzando il benessere dei lavoratori sia dal punto di vista psicologico che relazionale, gli smart worker hanno migliori risultati sia rispetto agli on-site worker sia ai lavoratori remote non smart. Questi ultimi mostrano livelli di benessere più bassi non solo rispetto agli smart worker, ma su molte dimensioni anche rispetto ai lavoratori on-site che non hanno la possibilità di lavorare da remoto.


La sola possibilità di lavorare da remoto, se non accompagnata da un’opportuna revisione del modello organizzativo, non dà benefici ai lavoratori in termini di benessere ed engagement. I lavoratori che manifestano i livelli più elevati di benessere sono infatti gli smart worker, tra i quali il 13% risulta pienamente ingaggiato, mentre i lavoratori remote non smart privi di flessibilità ulteriori oltre a quelle di luogo di lavoro, risultano avere minore benessere e un livello di engagement molto basso (6%), inferiore non solo ai veri smart worker, ma anche ai lavoratori on-site (12%).


Il solo lavoro da remoto, cioè, se non inserito in una cornice più ampia di flessibilità e revisione dei processi, non porta benefici né a livello personale né organizzativo, ma può invece condurre a esiti più negativi persino rispetto a chi non ha alcuna forma di flessibilità come i lavoratori on-site.

Chi ha applicato lo Smart Working in modo emergenziale durante la pandemia deve essere consapevole che, se tornare indietro a un modello tradizionale di lavoro on-site può risultare difficile o impopolare, fermarsi a una applicazione superficiale, senza un’evoluzione coerente del modello organizzativo e manageriale che preveda una crescita di autonomia nella gestione degli orari e nel lavoro per obiettivi, rischia di non far ottenere benefici di miglioramento di produttività e benessere, e addirittura peggiorare la situazione rispetto a una condizione tradizionale di lavoro on-site.


In occasione del convegno, sono stati assegnati gli “Smart Working Award” 2022, il riconoscimento dell'Osservatorio alle organizzazioni che si sono distinte per capacità di innovare le modalità di lavoro grazie ai loro progetti di Smart Working. Baker Hughes è il vincitore dello “Smart Working Award 2022” fra le grandi imprese, Storeis ritira il premio fra le PMI, la Presidenza del Consiglio dei Ministri riceve il riconoscimento nella categoria PA.


Per avere maggiori informazioni sul Rapporto dell’Osservatorio Smart Working


Se vi piacciono questi miei brevi sorvoli, che sempre potrete approfondire attraverso il mio Summary al blog LaBollani.it, continuate a seguirmi.



A presto da #LaBollani


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