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Immagine del redattoreDonatella Bollani

Smart living anzi smart manufacturing: dobbiamo prepararci al cambiamento

Aggiornamento: 28 ott 2022

Siamo abbastanza smart e pronti al cambiamento? Il modello produttivo italiano tra artigianalità e industria continua ad essere un valore? Ha ancora senso parlare di artigianato? L’ho chiesto a Stefano Miceli, che nel 2016 con il suo libro “Futuro Artigiano” chiedeva di tornare a scommettere su questo settore mescolando le abilità artigianali con le competenze industriali; le capacità dei tecnologi e dei manager con quelle dei tecnici e degli artigiani. E mi sono fatta aiutare dalle parole di Marco Taisch, Docente di Digital Manufacturing, Sustainable Manufacturing and Operations Management, alla Facoltà di ingegneria gestionale del Politecnico di Milano per capire come sta cambiando la manifattura.




Ho chiesto a Stefano Miceli, docente di Economia e Gestione delle Imprese all’Università Ca’ Foscari, se abbia ancora senso parlare di artigianato/artigianalità in un momento di così grande trasformazione.


Artigianalità e innovazione non sono un ossimoro, anzi. Un aneddoto riportato nel libro “Futuro artigiano” lo conferma. Quando Ettore Sottsass, celebre designer italiano, andò alla Nasa, e gli fecero vedere le componenti delle capsule spaziali, lui, colpito, commentò: «Questo posto è pieno di artigiani». L’aneddoto è divertente perché fa capire come l’high tech che servì a mandare l’uomo sulla Luna fosse “fatto su misura.”


Le fabbriche del futuro


Seguendo una recente intervista di Marco Taisch, Professore Ordinario al Politecnico di Milano, dove insegna Sustainable Manufacturing, Digital Manufacturing e Operations Management alla Facoltà di Ingegneria Gestionale, ho ripercorso alcuni dei temi che stanno cambiando il mondo della manifattura.


È possibile seguire l’intervista realizzata in occasione di Open Lombardia su Youtube

“Manifattura, il new normal? Transizione ecologica e digitale”


Le principali sfide per il comparto Manifatturiero e l’Industria 4.0 oggi? Anzitutto quella della sostenibilità, e di fare propri i principi dell’economia circolare: sfida che si può vincere solo grazie alla digitalizzazione.

L’altra sfida è allora quella di un cambio di mentalità, alla scoperta della ‘nuova normalità’ delle imprese. Proprio dagli spazi di MADE, il competence center del quale è presidente, il professor Taisch racconta quali sono i trend del settore - a cominciare da quello del reshoring -, quale l’impatto del PNRR, il ruolo che può giocare il territorio lombardo.


Oltre al tema energetico anche la digitalizzazione impone delle scelte nette…

Il trend è tracciato e le tecnologie sono note. Le grandi aziende hanno già messo in atto delle strategie improntate allo sviluppo digitale delle attività. Chi sta soffrendo sono le piccole aziende perché fanno più fatica a determinare le dimensioni di investimento richiesta per questo importante passaggio.

Mi aspetto che il fenomeno – e lo stiamo già verificando – del “digital divide”, che viviamo tra le generazioni, lo ritroveremo tra le piccole e le grandi imprese. Le piccole aziende faranno fatica a competere se non troveranno un loro modello, anche supportato da nuove competenze.


Come aiutare le PMI ma anche le filiere?

Sulla formazione c’è spesso scarsa sensibilità da parte delle aziende anche se gli strumenti ci sono. Nel "Piano Nazionale Industria 4.0", quindi a partire dal 2017, si parlava di Formazione 4.0, che è stata finanziata.

Sono operativi i Digital Innovation Hub e i Competence Center, e sono stati attivati servizi a supporto della innovazione digitale anche nelle Camere di Commercio.

Sono sicuramente delle iniziative di successo, stanno funzionando. Marco Taisch è presidente di MADE – uno degli otto Competence Center italiani, che l’anno scorso ha formato 14.000 persone di 450 aziende.

Le filiere sono importantissime. Le grandi imprese sono la leva per trascinare le piccole verso i cambiamenti. La stessa cosa accaduta venti anni fa con la Lean Manifacturing: le grandi imprese hanno formato i propri fornitori per adeguare tutta la filiera e aumentare la competitività. Dovremmo fare la stessa cosa.

C'è un altro trend da non sottovalutare che è la convergenza tra digitale e basso impatto ambientale.


Digital e Green: una combinazione potente quanto complessa?

La trasformazione ecologica non la posso attuare se non faccio la trasformazione digitale. Dobbiamo capire che il digitale non è solo uno strumento per migliorare i processi, ma è il più grande abilitatore dello sviluppo. Sensoristica, Intelligenza Artificiale, IoT, sono tutti settori nei quali il digitale induce nuovi comportamenti di utilizzo delle risorse e delle attrezzature, delle macchine e degli impianti, ottimizzandone l’impiego e riducendone i consumi. Ma ci dobbiamo ricordare anche che il digitale consuma energia elettrica. E questo è un tema del quale tenere conto nelle strategie.


Cosa sono i competence centre?

I centri di competenza sono partenariati pubblico-privati il cui compito dal 2018 è quello di svolgere attività di orientamento e formazione alle imprese su tematiche Industria 4.0 nonché di supporto nell'attuazione di progetti di innovazione, ricerca industriale e sviluppo sperimentale finalizzati alla realizzazione, da parte delle imprese fruitrici, in particolare delle Pmi, di nuovi prodotti, processi o servizi (o al loro miglioramento) tramite tecnologie avanzate in ambito Industria 4.0.

Gli otto centri che sono stati selezionati sono:

  1. CIM 4.0 - Competence Industry Manufacturing 4.0

  2. Made - Competence Center Industria 4.0

  3. BI-REX - Big data Innovation-Research EXcellence

  4. ARTES 4.0 – Industry 4.0 Competence Center on Advanced Robotics and enabling digital TEchnologies & Systems 4.0

  5. SMACT Competence Center

  6. MedITech Competence Center I 4.0

  7. START 4.0 – Sicurezza e ottimizzazione delle Infrastrutture Strategiche Industria 4.0

  8. CYBER 4.0 – Cybersecurity Competence Center

La formazione si rivolge principalmente alle PMI che desiderano implementare nuove tecnologie nei processi produttivi. La formazione del personale e dei manager è un elemento cruciale per raggiungere l’obiettivo.


La geopolitica della produzione sta cambiando; Reshoring e Nearshoring, verso la deglobalizzazione con catene di fornitura più corte.

Il reshoring è l’opposto dell’offshoring ed è un fenomeno economico che consiste nel rientro a casa delle aziende che in precedenza avevano delocalizzato in Paesi asiatici come Cina o Vietnam o in Paesi dell’Est Europa come Romania o Serbia.


Le catene di fornitura si accorciano. Le filiere lunghe ed estese, come volevano le strategie internazionali negli anni d’oro della globalizzazione e della Cina e dell’India “fabbriche del mondo”, hanno mostrato una estrema fragilità. Subiscono fratture per fattori sociali ed economici locali. Possono essere bloccate da carenze di materie prime, da strozzature nel sistema dei trasporti e da tensioni internazionali, anche conflitti. Oppure vengono interrotte da crisi legate al cybercrime. In ambienti più rassicuranti e opportunamente gestiti, sotto controllo.


Nell’articolo di Luca Orlando, su Il Sole 24 ORE si parla del “riprezzamento” delle catene lunghe

Covid prima, invasione russa in Ucraina ora, hanno in effetti “riprezzato” il valore delle catene lunghe, costruito su un modello globale in cui a contare erano volumi, economie di scala, specializzazione, schema ora messo pesantemente in discussione. Anche se sarebbe eccessivo pensare ad uno switch immediato dalla globalizzazione all’autarchia, un trend avviato pare essere quello della progressiva localizzazione degli acquisti, evitando, ove possibile, di dipendere da parti spedite da altri continenti.

Nell’ultimo report sul tema di McKinsey, analisi realizzata tra un centinaio di multinazionali, più del 90% dichiarava di voler modificare la supply chain per renderla più flessibile e resiliente. Puntando tra l’altro sul dual sourcing dei materiali o sull’avvicinamento delle proprie catene di fornitura.


Dual Sourcing significa avvalersi di due fornitori riducendo il rischio di avere un'unica fonte di approvvigionamento.


Il fenomeno dei magazzini “distribuiti”

La rottura delle catene lunghe offre qualche chance in più allo sviluppo di magazzini “distribuiti”, una logistica diffusa può ora contare per parti specifiche sulla stampa 3D, in cui a “viaggiare” è solo un file.


è evidente che questi sono i cambiamenti che modificheranno anche la progettazione e che solo le competenze ci aiuteranno nella transizione, sia energetica che digitale, e anche una maggiore educazione a buone pratiche.


Seguitemi sul sito www.labollani.it/podcast potrete ascoltate le puntate dei temi che più vi interessano – Smart Working, Trend, Outdoor e Smar Living – e approfondirle attraverso i summary.


A presto da #LaBollani

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